Articolo5

La grande e disperata corsa verso il baratro

Non sei una monade isolata,

ma sei parte unica e insostituibile del cosmo.

Non dimenticarlo,

sei un elemento essenziale

nel groviglio dell’umanità.

Epitteto – Manuale

Dai vari traslochi che si sono susseguiti nella mia vita ho conservato, tra le altre, due immagini a me care che trovai tanti anni fa in una bancarella a Camden Town tra varie immagini e fogli strappati dalle vecchie Enciclopedie. Di queste, un’immagine rappresenta un uomo sulla spiaggia, appartenente a qualche tribù indigena e l’altra rappresenta un anziano che fuma in un paesino di mare. Quello che mi colpì fu la direzione degli sguardi di questi due soggetti: sono due foto separate, pagine di chissà quale manuale, eppure guardano nella stessa direzione.

Siamo parte integrante del mondo o è la terra a far parte di noi?

Che ruolo abbiamo nella storia dell’Universo?

Tutte le domande che può suscitarci un film come Koyaanisqatsi – Life out of balance (1982) rappresentano il nostro tentativo di rimetterci in equilibrio. Sappiamo che ogni oggetto per stare in equilibrio ha bisogno di un centro. Secondo il dizionario, il termine “centrifugo” si riferisce a qualcosa “che si allontana, o tende ad allontanarsi, dal centro”. “Centripeto” è, al contrario, qualcosa che “tende verso il centro”.

Qual è questa forza che ci spinge verso o ci allontana dal centro? Cosa consideriamo centro?

Forse possiamo tendere all’equilibrio solo cercando il centro. Ma lo troveremo mai? È davvero possibile trovarlo? E dove cercarlo?

Cosa stiamo sbagliando?

Nonostante nessuno di noi può avere alcuna di queste risposte, sul piatto abbiamo la consapevolezza che più l’uomo si allontana dalla natura e dalla sua parte primitiva, più arranca.

Più muri e schermi costruiamo tra noi e la natura più il nostro corpo diventa fragile, crescono così le allergie e le intolleranze. Cresce la paura dell’insetto o dell’animale non canonico. Più abbiamo costruito città e buttato giù cemento più ci siamo allontanati dall’idea originaria di “uomo”.

Secondo Bauman: “L’unica costante è la trasformazione, l’unica certezza è l’incertezza”.

I crimini che abbiamo commesso (la deforestazione, l’inquinamento, la perdita della bio-diversità) sono la dimostrazione della rinuncia al nostro retaggio animale ma anche un modo per auto esiliarci dalla vitalità della natura che ci fa paura e ambiamo governare.

Ci siamo evoluti e abbiamo imparato a curarci, a scaldarci, abbiamo costruito cose maestose e palazzi sempre più grandi. Eppure, ogni tentativo di evoluzione in questo senso è come se ci avesse allontanato un passo alla volta da quello che eravamo davvero. Perché questo? Perché l’uomo ha rinnegato sé stesso? Per la nostra vergogna innata? Perché la nostra arroganza ci ha portato a colonizzare popoli pacifici, a distruggere foreste e tribù solo perché sentivamo di avere ragione? Perché stiamo continuando ad andare dritti verso una strada che ha come unica uscita l’estinzione? Perché, nonostante conosciamo la gravità di quello che sta accadendo – tra il riscaldamento globale e l’inquinamento – chiudiamo gli occhi e pensiamo che non è una nostra priorità?

Abbiamo sbagliato e stiamo sbagliando così tante cose.

La terra è iniziata senza noi e senza noi finirà. E saremo stati solo una piccola, minima cosa nella storia dell’Universo. Forse è questa la nostra profonda consapevolezza, e ce ne vergogniamo così tanto che in fondo ci siamo arresi.

Eppure, qualcosa dentro di noi urla forte (o dovrebbe urlarci). E ci dice che non è ancora tempo di mollare la presa. Che c’è tanto da fare e tu qualcosa lo puoi fare.

Quel desiderio e quel bisogno di equilibrio hanno un significato, hanno un centro. Il nostro inconscio lo sa e ci fa andare in tilt quando siamo troppo lontani da quel centro e ci richiama all’ordine con i sogni e con i nostri desideri silenziosi. Quella parte primitiva non è mai scomparsa anche se la copriamo con vestiti costosi.

Quel bisogno di sentirsi davvero in contatto con ciò che è reale, con ciò che è Terra e non ha mai smesso di essere Terra, non morirà mai del tutto.

Proviamo a riprendere le briglie della nostra natura, guardiamo lo scorrere della vita da mille prospettive diverse, ascoltiamo cosa desideriamo davvero e guardiamo negli occhi le persone. Abbiamo tutti paura e tutti proviamo a nasconderlo.

Ma siamo più simili di quello che crediamo.

Ciò che è emerso dal workshop cinema e sogni del 15-16 ottobre 2022, ed in particolare dai sogni che sono stati raccontati la mattina successiva alla visione del film, ci parla di un chiaro e cristallino bisogno di tornare sui nostri passi. Ciò che emerso dai sogni è qualcosa che ci accomuna tutti: la richiesta di mettersi alla prova e sfidarsi, la paura dello scorrere del tempo, la solitudine, il terrore di sentirsi smarriti, la richiesta di metamorfosi, sentirsi persi nella nebbia, il bisogno di scrivere una storia nuova e quello di proteggere la natura, tornare in una caverna e scoprire che gli animali sono riusciti a salvarsi nonostante fuori ci sia l’apocalisse.

“Laddove c’è il pericolo c’è anche la salvezza” ci ha ricordato ad un certo punto il Professor Vinci, citando Martin Heidegger che citava, a sua volta, questi due versi di Friedrich Hölderlin… Ed ha sottolineato che Koyaanisqatsi “non è un film ideologico ma dà un messaggio: cercare un’altra via, un modo diverso. E tutti i sogni del nostro workshop hanno espresso questa ricerca”.

Durante il workshop il Professor Sabbadini ci propone un titolo alternativo a “Vite in tumulto” che potrebbe essere “Il disagio della civiltà”. Il rimando è alla celebre opera di Freud del 1929 in cui il fondatore della psicoanalisi si stupisce che “gran parte della colpa della nostra miseria vada addossata alla nostra – cosiddetta – civiltà. […] Gli uomini hanno compiuto progressi eccezionali nelle scienze naturali e nell’applicazione di queste scoperte rafforzando il loro dominio sulla natura in una maniera prima inimmaginabile. Ma questo non li ha resi più felici.” D’altronde, la civiltà stessa ci impone grandi sacrifici sia alla nostra sessualità, sia all’aggressività. Citando nuovamente Freud: “è per un po’ di sicurezza che l’uomo civile ha barattato la sua felicità. Il significato dell’evoluzione civile indica la lotta fra Eros e Thanatos”.

Concludo utilizzando le parole del Professor Sabbadini: “Quasi un secolo è trascorso dalla pubblicazione del saggio di Freud, e quarant’anni dall’uscita del capolavoro di Godfrey Reggio. Non possiamo evitare di aggiornare le parole dello psicoanalista e le immagini del cineasta alla nostra profonda preoccupazione contemporanea riguardo al futuro del nostro ambiente. Quella “lotta tra Eros e morte” nel testo freudiano, e quel contrasto fra le straordinarie sequenze cinematografiche di una natura grandiosa e ancora vergine nella prima parte del film e, nella seconda parte, il frenetico agitarsi, all’incrocio fra ordine ossessivo e caos, di uomini e macchine, sono oggi espressione del nostro paralizzante conflitto fra il bisogno di fare di tutto per salvare in qualche modo il mondo (e con esso noi stessi) dalla distruzione totale, illudendoci che non sia già troppo tardi, e la generale impotenza ad agire nell’insensata speranza che siano gli altri ad assumersene la responsabilità. Il filosofo Vinci sarà concorde che queste sono domande che non possiamo evitare di porci e risposte che non possiamo evitare di cercare.”

Bibliografia

 

Bauman Z. (2019), L’arte della vita. Editori Laterza

Bauman Z. (1999) Modernità liquida. Editori Laterza

Freud S. (1930), Il disagio della civiltà. Tr. It. Bollati Boringhieri, Torino.

Mabey R. (2010), Natura come cura. Un viaggio fuori dalla depressione. Enaudi editore

Salgado S. (2021), Amazonia. Taschen

Sitografia

 

https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/alcuni-appunti-su-natura-come-cura/

https://www.wired.it/article/doomsday-clock-orologio-apocalisse-2023-minuti/