La melodia di Koyaanisqatsi

La melodia di Koyaanisqatsi

Il workshop cinema e sogni ideato dal prof. Nesci nel 2000, svoltosi ad ottobre 2022 in modalità online nelle Risonanze della Festa del Cinema di Roma, in collaborazione tra The International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals (IIPRTHP), la Fondazione Cinema per Roma ed FCP, Formazione Continua in Psicologia, è stato dedicato al quarantennale della prima proiezione di Koyaanisqatsi diretto da Godfrey Reggio (1982).  A questa edizione del workshop cinema e sogni hanno preso parte, oltre al Prof. Domenico Arturo Nesci, due Docenti della Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale (SIPSI): lo psicoanalista esperto di cinema, Prof. Andrea Sabbatini ed il filosofo Prof. Paolo Vinci. Personalmente ho partecipato a questa esperienza sin dal 2000, anno della prima edizione, e nei successivi anni sempre con maggiore interesse e curiosità.

La visione di questo film ha avuto per me tre fasi: la prima volta l’ho guardato senza la musica. Dopo averlo visto questa prima volta mi sono accorta che lo avevo scaricato da Internet in un’edizione al contrario… L’ho rivisto allora una seconda volta togliendo, ad intervalli, la musica. Finalmente, la terza volta, sono riuscita a vederlo interamente e nel verso giusto, con musica e immagini. Mi sono dunque chiesta che senso avesse tutto questo ed allora ho iniziato ad indagare su quale poteva essere il motivo di questa mia resistenza nei riguardi della colonna sonora del film.

La musica del film è stata composta da Philip Glass: un compositore statunitense, autore di musica contemporanea, ritenuto uno dei maggiori esponenti del minimalismo musicale. Nella sua ricca produzione egli ha accolto varie suggestioni musicali provenienti anche da altre culture, ad esempio dal musicista e compositore indiano Ravi Shankar. Da questa collaborazione nasce lo stile delle sue composizioni dal carattere ipnotico e Philip Glass inizia a comporre pezzi austeri basati su ritmi compulsivi.

Dopo aver lavorato con Ravi Shankar, intraprende viaggi in India e conosce nel 1972 il Dalai Lama Tenzin Gyatso, convertendosi al buddismo.

La colonna sonora del film Koyaanisqatsi si presenta all’ascolto dello spettatore con le sole parole del titolo del film o in alternanza a suoni, in un moto continuo, ripetitivo e con canti dalle tonalità profonde dei bassi. In un lavoro associativo questo genere di musica mi rimanda, per la somiglianza, alle sonorità dei cantos a tenore. Questi canti sono interpretati da quattro voci maschili dalla più grave alla più acuta, su bassu, sa contra, sa oche e sa mesu oche; la disposizione dei cantori è circolare e per amplificare la voce viene accostata la mano alla bocca.

L’immagine del coro è rappresentata in questa foto del 1903 di un coro di Nuoro.

La tradizione orale tramandata descrive le tre voci che formano il coro rispettivamente come il muggito del bue, il belato della pecora, il suono del vento e la quarta voce, quella dell’uomo, è l’unica che canta un testo verbale. Quest’ultimo rappresenta nell’esecuzione l’uomo stesso. Nella maggior parte delle esecuzioni il testo può essere improvvisato o preso da canti tramandati oralmente, a seconda del tema scelto. Le sonorità prodotte da sole voci sono in armonia tra di loro, originarie della cultura agro pastorale, i testi verbali cantati dai tre cantori rappresentano i suoni degli animali e sono solitamente composti da monosillabi, come, per esempio, bom, bim, bam bo, bi, bim bai, bim-bam-bo- baram-bim-ba-bo-bim-ba-ra-roi-rim-ba etc., con un ritmo ripetitivo e profondo, che intrecciano nella loro sonorità il forte legame tra la natura e la cultura. La risonanza vocale ci riporta inevitabilmente ad un mondo antico ed arcaico. Questi canti si rintracciano per somiglianza nelle lande della Mongolia e nella Repubblica del Tuva nei canti kargyra. Le voci sono caratterizzate da una timbrica gutturale, l’organo interessato per l’emissione del suono è la laringe alla quale si associa un’emissione gutturale vibrata e continua, monotòna, con alternanze di timbri di voce più naturale ed un suono più lineare e meno vibrato.

Nella produzione artistica del film la musica e le immagini si fondono in molteplici suggestioni dando vita a ritmi delle volte quasi insostenibili a significare che profondamente vi è un conflitto tra ciò che la natura determina e ciò che, al contrario, l’uomo trasforma. Il film documentario è un’opera d’arte in quanto presenta in un unicum tutte le ambiguità e fa sperimentare allo spettatore la finitezza dell’agire umano e la sua autodeterminazione, ma il film porta in sé anche un messaggio profondo di speranza che è il ricordo delle origini e del loro valore. Questo film documentario è un atto creativo di spessore elevato e come dice la Klein: “L’impulso creativo nasce dal bisogno di riparare l’oggetto perduto nel momento in cui questo, è vissuto nella sua totalità e permanenza, vale a dire quando gli aspetti buoni e cattivi dell’oggetto sono riconosciuti complessivamente” ed è in egual maniera quello che l’esperienza della visione del film e dei sogni raccontati il giorno dopo ci aiutano a fare: la riparazione. Integrando le riflessioni Kleiniane con quelle di un’altra psicoanalista che ha studiato la creatività, “Il riconoscimento del carattere globale (intero) dell’oggetto mette il soggetto di fronte alla propria ambivalenza e lo porta a constatare la coesistenza del bene e del male dentro di sé” perciò “l’atto creativo costituirà una delle modalità privilegiate dell’attività riparativa.” (Chasseguet Smirgel, 1989).

La visione del film e la catena associativa prodotta dai sogni dei partecipanti al workshop, condivisi nel Guided Social Dreaming del giorno dopo, aiutano tutti i partecipanti alla comprensione profonda dei contenuti della produzione cinematografica che “intende allargare la conoscenza dell’inconscio in generale” (Chasseguet Smirgel, 1989) diventando un mezzo per la conoscenza e non un fine. Freud stesso considera “l’opera d’arte materiale privilegiato destinato ad arricchire la stessa clinica, anzi a superarla…” (Freud, 1914). Per usare la metafora del coro, gli inconsci individuali si fondono insieme nell’esperienza del workshop cinema e sogni e in ognuno dei partecipanti risuona un’armonia sonora.

Per la Segal come per la Klein, scrive Chasseguet Smirgel, “il desiderio di creare è radicato nella posizione depressiva e quindi la capacità creativa dipende da un felice superamento di essa […] ogni creazione è in realtà la ri-creazione di un oggetto che un tempo era amato e integro, ma poi si è trovato a essere perduto e rovinato,” così come viene rappresentato il nostro mondo nel film, rovinato dalle mani dell’uomo, che rappresenta “un mondo interno e un sé frantumati.” Il successo dell’opera d’arte è nell’espressione dell’artista di essere capace di riconoscere ed esprimere le sue fantasie e ansie depressive compiendo in questo modo il lavoro del lutto, in quanto ri-crea internamente un mondo armonioso che viene proiettato nella sua opera d’arte.”

Il film Koyaanisqatsi e l’esperienza del workshop cinema e sogni non sono altro che l’espressione di tutte queste dimensioni collettivamente sperimentate e amplificate dal sogno di ognuno nell’incontro con il sogno degli altri (Nesci, 2023), un inconscio che si dilata e acquista molteplici significati che aiutano i partecipanti ad integrare elementi di per sé ambivalenti e contradditori i quali si risignificano grazie all’opera d’arte non semplicemente vista ma anche sognata e condivisa nel social dreaming guidato (Nesci, 2012-13). Le sonorità del film si fondono alle immagini recuperando la dimensione arcaica e originaria, ri-donando allo spettatore la speranza di poter ricreare un mondo migliore.

 

Riferimenti bibliografici

 

Chasseguet Smirgel, J. “Per una psicoanalisi dell’arte e della creatività”, Raffaello Cortina, Milano, 1989.

Freud, S., “Il Mosè di Michelangelo” [1914], in Opere vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.

Klein, M. “Scritti 1921-1958”, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.

Nesci, D.A. Il workshop cinema e sogni. Eidos, n. 10: pagg. 12-13, 2007.

Nesci, D.A. Multimedia Psychotherapy: A Psychodynamic Approach for Mourning in the Technological Age. Jason Aronson, 2012-13.

Nesci, D.A. e Nesci F.A. “Koyaanisqatsi: Life Out of Balance” in Doppio Sogno, giugno 2022,  https://www.doppio-sogno.it/wp/koyaanisqatsi-life-out-of-balance/

Nesci, D.A. Psychological Care for Cancer Patients: New Perspectives on Training Health Professionals – Foreword by Nancy McWilliams, Lexington Books, 2023.