Il drammatico aumento dei reati di revenge porn, segno tragico della pandemia

di Deborah Cecconi

Tra i segni inquietanti del COVID, su cui Ilenia Petracalvina, Direttrice della nostra rivista telematica, ci ha invitato a riflettere, sicuramente uno dei più eloquenti è la promulgazione della Legge n. 69/2019  recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, denominata codice rosso. Questa legge   ha introdotto nuovi reati tra i quali il “revenge porn” che consiste nella diffusione sul web di immagini o video a sfondo sessuale a scopi vendicativi e senza il consenso della persona offesa, comportando lesione dell’immagine e della dignità del soggetto, pregiudicandone pesantemente gli aspetti psichici ed esistenziali (Biarella, 2019). Le immagini vengono carpite principalmente attraverso il cosiddetto sexting (la pratica ormai consueta dello scambio di ripresa immagini o video in pose intime), oppure durante rapporti sessuali attraverso web cam, durante momenti intimi (bagni pubblici, spogliatoi ecc..) con telecamere nascoste (spy cam); attraverso l’hacking dello spazio cloud della vittima del dispositivo della vittima (icloud, gmail, microsoft space, smartphone, laptop, smartpad) anche con la consegna spontanea del dispositivo (es. invio di un pc o di un telefono in assistenza).

Da un punto di vista criminologico ci si trova di fronte di fronte ad una forma avanzata di cyberbullisimo (Lombardo, 2021).

L’altro reato introdotto dal codice rosso nel codice penale è il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, punito con la reclusione da 8 a 14 anni, e con l’ergastolo se lo sfregio conduce alla morte della vittima. Terzo reato introdotto è il reato di costrizione o induzione al matrimonio, punito con la reclusione da uno a cinque anni. La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso a danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia.

Tornando al revenge porn, e relativamente all’articolo 612 ter del codice penale rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (revenge porn) il testo della legge specifica che:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procederà tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.”

Appare dunque un’importante evoluzione sotto il profilo normativo, seppur resta qualche perplessità relativa agli aspetti punitivi vista la gravità del danno psichico ed esistenziale recato alle vittime.

Basti pensare al suicidio di Tiziana Cantone, la 31enne trovata morta impiccata il 13 settembre 2016 a Mugnano (Napoli) dopo la diffusione online e in chat di alcuni suoi video e foto hard (per la quale è stata recentemente disposta la riesumazione del cadavere nell’ambito delle indagini aperte lo scorso gennaio 2021 dalla Procura aversana con la formulazione dell’ipotesi di omicidio contro ignoti).

Ma il caso della Cantone non è purtroppo isolato e molte sono le donne (soprattutto) cadute vittime di tale condotta criminosa il più delle volte commessa da ex partner.

Appare doverosa una riflessione circa questo nuovo reato tecnologico che ha visto un’impennata significativa durante il periodo della pandemia e che coinvolge soprattutto i minori, e dei gravi danni psichici che procura alle vittime.

La pandemia e l’isolamento hanno infatti esasperato i fenomeni di cyberbullismo e del revenge porn tanto che, su richiesta del Garante della Privacy, Tik Tok ha rimosso i profili under 13.

Di seguito si riportano alcuni dati significativi relativamente al periodo della pandemia riportati dall’Osservatorio Indifesa 2020 di Terre des Hommes e Scuola Zoo raccolti attraverso le risposte di 6mila giovani, dai 13 ai 23 anni, provenienti da tutta Italia.

 Per quanto riguarda i giovani i dati, relativi al periodo del lockdown (2020) e della pandemia, sembrerebbero allarmanti: il 61% dei giovani afferma di essere stato vittima di bullismo o di cyberbullismo, e il 68% di esserne stato testimone.

Emerge che l’incubo per le giovani adolescenti sia rappresentato proprio dal revenge porn che dichiarano quasi tutte (95,17%) essere grave quanto subire una violenza fisica. Un abbondante 42% dichiara di aver subito episodi di violenza psicologica subita da parte di coetanei e di aver patito pesanti commenti a sfondo sessuale on line (ragazze).

La pandemia, obbligando all’isolamento e alla “reclusione” in casa ha acuito ancora di più questi fenomeni esacerbando il senso di solitudine ed estraneità, essendo il computer e la tecnologia in generale l’unica compagnia per i ragazzi, privati di ogni tipo di socialità.

Nel rapporto dell’Osservatorio la percezione della solitudine è infatti aumentata in modo drammatico nei giovani durante il periodo pandemico, passando da un 33% che prova solitudine molto spesso, a quello che viene definito un “drammatico” 48%.

L’isolamento e la solitudine nei giovani hanno alimentato il sexting, che si correla al fenomeno del grooming, ovvero dell’adescamento di minori on line con l’obiettivo di coinvolgerli in attività di carattere sessuale.

La Polizia Postale ha rilevato un’escalation di adescamenti dei più giovani dovuto alla quarantena, da parte dei cosiddetti groomers, adescatori pedofili, espertissimi nel manipolare carpendo la fiducia delle loro vittime sui social network.

Il rischio è molto alto e correlato all’età delle vittime ed alla loro condizione psicologica personale: sebbene alcuni adescatori riescano in poco tempo ad ottenere ciò che vogliono, in alcuni casi trascorrono mesi di scambi e conversazioni falsamente amicali prima che ottengano foto o video da utilizzare a loro piacimento.

Si riscontra anche un forte aumento del vamping, termine che, richiamando lo stile di vita dei vampiri, descrive il fenomeno che porta i giovani a stare svegli nelle ore notturne per chattare, videogiocare o stare connessi a guardare video o serie tv. Fuori dal controllo diurno dei genitori, l’essere connessi di notte per svolgere le attività più gradite può diventare un’ossessione, fino al punto di non poterne fare più a meno  favorendo le attività di sexting, cyber bullismo alimentando l’attività dei groomers.

Tale fenomeno non riguarda solo gli adolescenti ma anche gli adulti.

Le segnalazioni relative al revenge porn sono notevolmente aumentate durante il lockdown conseguente all’emergenza da covid-19. E’ quanto riporta la British Broadcasting Corporation, che riferisce di un drammatico aumento del fenomeno come un problema emerso come conseguenze della pandemia da coronavirus.

Si tratta dunque di un fenomeno molto diffuso, che anche in Italia sta raggiungendo livelli allarmanti. Secondo un dossier di novembre del 2020 del Servizio analisi della Direzione centrale della Polizia criminale si verificano due episodi di revenge porn al giorno, con 1083 indagini in corso. 

La limitazione delle connessioni intime reali durante il periodo pandemico, aumentando quelle virtuali, ha creato un terreno fertile per la diffusione di un reato grave con pesanti ripercussioni psicologiche sulle vittime.

Dal sito Eurispes si apprende anche che esistono numerosi siti che incoraggiano i propri utenti a caricare, per vendetta, foto e video intimi dei loro ex-partner con la possibilità di postare commenti dispregiativi o volgari nei confronti delle persone ritratte nelle immagini, che nel 90% dei casi sono donne.

Conseguenze psicologiche del revenge porn

Come con altre forme di abuso sessuale, le vittime di pornografia non consensuale e revenge porn possono avere conseguenze a livello fisico e mentale riportando un danno psichico ed esistenziale di grave entità. Sebbene la pornografia non consensuale sia sempre più riconosciuta come una forma di abuso sessuale il fatto che sia perpetrata non usando la forza fisica può rendere le vittime meno inclini a etichettarla come violenza sessuale e di conseguenza a denunciarla.

Uno studio statunitense molto recente (American Psychological Association, 2019) evidenzia la grave diffusione del fenomeno, soprattutto tra i minori, e che le persone vittime di revenge porn hanno, nel 51% dei casi, ideazioni suicidarie. Anche dai dati dell’Osservatorio Cyber Security dell’Eurispes emerge che, nel 51% dei casi, le vittime contemplino la possibilità del suicidio.

In una precedente ricerca qualitativa condotta da Bates (2016) emerge che la pornografia non consensuale ha molte analogie, in termini di conseguenze per la salute delle vittime,  con la violenza sessuale agita di persona. In interviste individuali con 18 donne vittime di revenge porn, le partecipanti hanno riportato sintomi di disturbo post traumatico da stress, ansia, depressione, pensieri suicidari, comportamenti disfunzionali (autolesionismo e abuso di alcol) ed altri esiti negativi come conseguenza del reato subito. Le vittime riferiscono continui timori, come se la persona rivivesse costantemente la minaccia relativa al fatto che le immagini possano essere rimesse online, e che quindi altre nuove persone potrebbero vedere questo materiale intimo. Le vittime diventano così ipervigilanti nelle interazioni virtuali e reali, tendono a controllare internet e i social in modo compulsivo al fine di scongiurare il rischio di essere nuovamente visibili. Talvolta provano un senso di impotenza in balia della sensazione relativa alla possibilità di essere nuovamente oggetto di diffusione. Anche se certi contenuti vengono tolti dal web, alcuni utenti possono condividere le immagini mediante i social rendendo difficile la rimozione permanente di ogni traccia da internet.

Si tratta di un danno continuo e di lunga durata in cui le vittime vivono costantemente la paura di essere riconosciute; il non sapere chi e quanti possano aver visto le loro immagini private determina ansia, vergogna, senso di colpa, alterando il funzionamento psichico, comportando ripercussioni in termini di salute psicologica fino a produrre drammatici cambiamenti esistenziali. Molte vittime infatti perdono il lavoro, sono costrette a cambiare città, a ricostruire una nuova identità.

Revenge porn e stalking

E’ frequente che le vittime di revenge porn  siano anche vittime di stalking da parte di sconosciuti che trovano il loro riferimento sul web (Citron & Franks, 2014). Le molestie possono avere conseguenze gravissime. Per esempio, alcune donne sono state costrette a trasferirsi in paesi stranieri, cambiando il proprio nome, al fine di fuggire ai danni emotivi e alle ripercussioni personali, perdendo lavoro, abitudini, amicizie. alla perdita del lavoro una delle conseguenze dell’essere state vittime di questo reato è  anche la difficoltà a ottenere un nuovo impiego dal momento che un potenziale datore di lavoro, effettuando una ricerca sul web di un candidato, potrebbe rintracciare immagini sessualmente esplicite.

Aumentare la consapevolezza del fenomeno del revenge porn consentirebbe un crescente riconoscimento di quanto la tecnologia sia uno strumento sempre più utilizzato per molestare, intimidire, umiliare gli altri, sollevando le vittime dall’autocolpevolizzazione e dalla stigmatizzazione sociale, incoraggiandole a denunciare il reato ed a ricercare sostegno psicologico e legale. Sebbene infatti il revenge porn appaia sempre più all’attenzione dei media, anche in seguito a drammatiche vicende di cronaca, potrebbero esserci persone non consapevoli che si tratti di un reato e che conseguentemente ignorano che potrebbero attivare delle procedure per proteggersi nel caso in cui ne diventassero vittima.

Dall’8 marzo 2021 le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime, presenti in foto e video, vengano condivise, possono dunque rivolgersi al Garante Privacy, consultando la pagina www.gpdp.it/revengeporn, per segnalarne l’esistenza in modo sicuro e confidenziale a Facebook e farle bloccare.

Cenni sugli aspetti sociologici e psicologici del reato

Il revenge porn, come altre forme di prevaricazione, abuso e dominazione, può essere letto anche come il sintomo di una violenza che si inscrive in una cultura ancora fortemente patriarcale dominata da un meccanismo primitivo, caratterizzato da dinamiche di potere maschiliste il cui tema centrale appare quello della reputazione: “Tu rovini la mia reputazione di uomo, io rovino te nei tuoi aspetti più profondi e lo faccio pubblicamente”. 

Impossibile non richiamare alla mente il reato di relazione adulterina della moglie (commi terzo e quarto dell’art 559 c.p dichiarato incostituzionale dalla Corte con sentenza 3 dicembre 1969) che rimanda ai temi di onore, reputazione, rispetto dell’uomo e che è frutto di una cultura primitiva che pare dominare tutt’oggi nonostante le evoluzioni legislative. Nell’immaginario collettivo il corpo della donna viene disumanizzato qualora non rispondente alle necessità del dominio dell’uomo. 

Nell’intimità tra due persone, nel momento in cui molto spesso la donna su richiesta maschile (90% dei casi) si presta a scatti e video dal contenuto sessuale per compiacere il partner, si viene a creare una specie di contratto tra le due parti, violato nel momento in cui uno dei partner divulga materiale dal contenuto intimo e sessuale senza il consenso dell’altra parte. 

Il danno all’immagine che subisce una donna nel caso della diffusione delle sue immagini private è molto più grave e pervasivo rispetto a quello subito da un uomo poiché ad oggi la sessualità maschile non è stigmatizzata come quella femminile. 

Ulteriore aggravante per la donna è un atteggiamento più o meno consapevole di colpevolizzazione della vittima, in termini anglosassoni il victim blaming: nel momento in cui una donna si è prestata ad un gioco sessuale con il partner, anche se non ha mai dato il consenso alla sua pubblicazione, viene comunque additata, marchiata, poiché questo suo comportamento contrasta con il ruolo sociale atteso comportando il cosidetto slutshaming,  condotta che si sostanzia di insulti rivolti a donne alle quali viene attribuita la natura di meretrici.

Il revenge porn è un fenomeno che si alimenta della cultura sessista e viene rinforzato dall’anonimato, dalla viralità, e dalla memoria infinita della rete, che rende ogni informazione perennemente disponibile.  La visibilità senza limiti e confini di un contenuto on-line, accessibile dunque a un numero infinito di possibili condivisori, spettatori, commentatori, che finiscono per diventare un branco virtuale, pongono la vittima in una gabbia virtuale dalla quale sente di non poter più uscire.

L’immaterialità della violenza del revenge porn, escludendo il contatto diretto con la vittima, il cui carnefice è nascosto dietro uno schermo, rende l’abuso una catena difficile da spezzare.

La stragrande maggioranza degli autori sono mossi dalla volontà di vendicarsi di un presunto torto subito, ad esempio una vera o immaginata infedeltà o, più comunemente, della fine della relazione, come avviene in molti casi di uxoricidio (Di Girolamo, Nesci, 1981). Pubblicare foto e video sessualmente espliciti delle loro ex compagne servirebbe quindi a “guarire” una sorta di ferita narcisistica e riaffermare un perverso potere e controllo di genere che il maschio ha sentito di aver perso al momento della decisione, subita, di interrompere la relazione. Normalmente il contenuto pornografico viene linkato sulle pagine social della vittima oppure caricato su siti web tematici o vengono create delle pagine apposite. Conseguentemente il revenge porn diviene un fatto collettivo e non più privato tra due individui connotandosi come vero e proprio fenomeno sociale, come testimonia l’esistenza di piattaforme social “dedicate”, il cui preciso obiettivo è quello di umiliare, denigrare, aggredire la vittima, che molto spesso è inconsapevole dell’abuso nei suoi confronti. Si crea una forma perversa di socialità tra uomini, nella quale il corpo femminile viene utilizzato come merce di scambio, come qualcosa su cui avere il dominio supremo. Il contenuto a volte viene anche inviato a familiari, amici e colleghi della persona vittima di questa forma di violenza, con il preciso scopo di screditarla socialmente e può degenerare in comportamenti di minacce, stalking, estorsione, ricatto finalizzato a ottenere denaro, prestazioni sessuali o anche come gioco per tenere in scacco psicologico la vittima (se non fai quello che ti dico mostro a tutti quello che sei veramente). Il materiale condiviso in rete spesso non si limita alle immagini ma anche a commenti: “È questa la sua vera natura”, “È stata lei a voler condividere”, frasi che contribuiscono a rafforzare lo scopo dell’artefice: fare in modo che il popolo del web si scagli in modo diffamatorio contro la vittima. Spesso accade, inoltre, che vengano diffusi anche i dati personali della vittima, come nome, cognome, numero di telefono, con conseguenze penose per la vita delle donne coinvolte.

La condivisone dei comportamenti abusanti e prevaricanti nasconde aspetti psicopatologici come un senso di insicurezza e frustrazione generalizzati, che vengono espressi mediante l’incontro con un gruppo di persone simili, il cosiddetto branco che dà forza e coesione; una intensa rabbia gender target, rivolta al genere femminile, in cui la donna viene considerata colpevole di avere rifiutato più volte un uomo nel corso della vita. In questi termini, l’umiliazione della vittima viene vissuta come un atto di giustizia, che riparerebbe la ferita narcisistica che l’abbandono ha causato al proprio ego. Alla base di un simile comportamento vi è la risposta ai principi della cultura del maschio dominante, possessivo, che deve esercitare il suo predominio sul femminile. Nel momento in cui la reputazione del maschio potente, viene minacciata emerge un vissuto ancestrale molto potente, calcificato da una cultura sessista difficile da sradicare, perché sedimentata da secoli di maltrattamenti ed abusi nei confronti delle donne.

Molto spesso dietro questi prevaricatori si nascondono uomini deboli la cui fragilità psicologica e psicopatologica, come nei casi di uxoricidio (Di Girolamo, Nesci, 1980) induce una regressione che attiva comportamenti violenti e criminali. L’uomo che si sente frustrato cerca di compensare questo suo disagio scaricandolo aggressivamente sulla donna per tentare di mettere a tacere il senso di sconfitta, di umiliazione, di inferiorità. In questa cornice emotiva l’unica risposta plausibile per rifuggire dalle potenti emozioni negative legate alla perdita, al rifiuto, alla perdita di senso della propria esistenza, resta la prevaricazione fisica e psicologica se non si hanno le risorse interiori per elaborare positivamente le proprie incapacità. Soprattutto se la cultura e la società non fanno niente per aiutare gli individui a maturare psicologicamente e a vivere la sessualità in un modo più spontaneo e più amorevole. Appare dunque come il revenge porn sia un reato estremamente complesso ascrivendosi a pieno titolo nella cultura del femminicidio, un reato che va letto come una forma di violenza collettivamente condivisa e non semplicemente come una violazione individuale della privacy

Riferimenti Bibliografici​

• American Psychological Association, htpss://psycnet.apa.org/record/2019
• Bates, S. (2016). Revenge porn and mental health: a qualitative analysis of the mental health effecs of revenge porn on female survivors. Feminist Criminology, 1-21.
• Biarella, Laura: Codice Rosso: definizione, procedura, nuovi reati e aggravanti. https://www.altalex.com/documents/leggi/2019/07/26/codice-rosso
• Citron, D. K., & Franks, M. A. (2014). Criminalizing revenge porn. Wake Forest Law Review, 49, 345-391.
• Criddle, C. (2020). ‘Revenge porn new normal’ after cases surge in lockdown. BBC Technology reporter. https://www.bbc.co.uk/news/technology-54149682.
• Di Girolamo F., Nesci D.A. (1980) L’uxoricidio in Italia – studio preliminare su un gruppo di autori del reato. Rass. Penit. e Criminol. 3/4 1980.
• Di Girolamo F., Nesci D.A. (1981) L’uxoricidio in Italia – studio preliminare su 27 delitti. Rass. Penit. e Criminol. 3/4 Luglio – Dicembre 1981, 481-497.
• Eurispes, (2019). Non consensual pornography: dal revenge porn alla sexual extortion. https://eurispes.eu/wp-content/uploads/2019/12/revenge-porn-rev-2019.12.17.pdf
• Lombardo, Loredana (2021) Cyberbullismo e revenge porn, i mostri in rete amplificati dalla pandemia. https://www.ilcapoluogo.it/2021/02/07/cyberbullismo-e-revenge-porn-i-mostri-in-rete-amplificati-dalla-pandemia/#
• Terre des hommes, (2021) Bullismo e cyberbullismo. Parlano i ragazzi, attraverso i dati dell’osservatorio indifesa. https://terredeshommes.it/comunicati/bullismo-cyberbullismo-parlano-ragazzi-dati-dellosservatorio-indifesa/

https://www.cybercivilrights.org
https://www.eurispes.eu
https://networkindifesa.terredeshommes.it
https://psycnet.apa.org/
https://www.studiocataldi.it

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