Il “perturbante” nella pandemia

di Anna Petrachi

La pandemia ha avuto e continua ad avere importanti conseguenze non solo a livello medico, ma anche sul piano psicologico e relazionale.
L’isolamento, il lockdown, le protezioni, il distanziamento, la mascherina che non permette di mostrare un sorriso, hanno generato nelle persone la paura dell’altro, una paura quasi ossessiva di essere contagiati. L’altro è visto come il nemico portatore del virus e ciò nasce dal bisogno di dare un volto al virus stesso per renderlo controllabile: è più facile fuggire da qualcosa che si vede piuttosto che da qualcosa di invisibile e mortale.
Di conseguenza la propria casa è diventato l’unico luogo sicuro che però, a seconda delle proprie relazioni familiari o delle proprie vicende psicologiche, può trasformarsi in una prigione soffocante.

Diversi pazienti in questo periodo mi hanno parlato del loro senso di incertezza e smarrimento a riprendere una graduale normalità.
Nonostante la possibilità, oggi, di incontrare amici e parenti, magari all’aria aperta e con le dovute cautele e precauzioni (mascherina e distanziamento), fanno ancora fatica ad organizzare un’uscita.
Nonostante il desiderio di incontrare le persone e la grande mancanza, che hanno sentito durante il lockdown e che tutt’ora sentono, del contatto fisico di un abbraccio, è subentrata una sorta di apatia, pigrizia, lassismo per cui l’incontro con una persona cara è faticoso e problematico.

Ci capita così di osservare uno scatenarsi di emozioni contrapposte e conflittuali che evidenziano un forte senso di frustrazione e smarrimento, che a volte degenera in sintomatologie più gravi.
Pazienti con delicate situazioni psicologiche, in questo periodo, hanno avuto regressioni emotive non indifferenti, come se la pandemia avesse messo in luce le loro vulnerabilità e fragilità, peggiorando così sintomi latenti come la depressione ed i disturbi d’ansia fino ad arrivare anche a forme importanti di isolamento e fobia sociale.

La paura fa parte dei nostri sentimenti essenziali, è un’emozione indispensabile alla sopravvivenza, ma quando interferisce significativamente con le abitudini normali della persona, con il funzionamento lavorativo, con le attività e le relazioni sociali, allora può diventare disfunzionale.

“Dottoressa… non riesco più ad incontrare i miei amici, ho il desiderio di stare con loro, ma temo troppo per la salute dei miei genitori che, come sa, vivono con me, sono anziani ed entrambi pazienti oncologici. Lo so, con il vaccino, il distanziamento e le mascherine possiamo stare più tranquilli ma ogni volta che i miei amici mi chiedono di uscire, nonostante vorrei farlo, alla fine trovo sempre una scusa per restare a casa.
L’altro giorno mi sono costretta ad andare a mangiare una pizza da una mia amica perché mi aveva rassicurata che avremmo mangiato in giardino. Io per sicurezza, prima di andare da lei, ho detto a mia sorella di chiamarmi a una certa ora, cosicché se vedevo che non stavo tranquilla avrei detto a questa mia amica che mia sorella aveva un problema e dovevo andare via. E così è stato… non ce l’ho fatta, avevo bisogno di tornare a casa, ma so che non posso andare avanti così per sempre… mi sento stranita, sconvolta, spaesata e impaurita da tutti e tutto.”

Anche un altro paziente mi riferisce:

“Mi rendo conto, dottoressa, che questa pandemia mi sta mandando fuori di testa… sono andato a trovare i miei genitori e li ho obbligati a mangiare in un modo a dir poco folle: loro dentro casa e io e mia moglie sul balcone della cucina, solo perché il giorno prima mio figlio aveva incontrato degli amici.”

Un’altra paziente mi racconta come a causa della paura della cognata si stanno rovinando i rapporti in famiglia:

“Non sopporto più mia cognata e le sue fobie… da quando c’è stata questa pandemia non vedo più mio nipote e mia suocera perché mia cognata ha paura di me e mio marito, dato che i nostri figli vanno a scuola, secondo lei, potrebbero contagiare mio nipote che lei tiene accuratamente sotto una campana di vetro. Capisco che è piccolino, ma non lo manda più in asilo e può vedere solo la nonna, cioè mia suocera, che di conseguenza non posso più vedere io perché altrimenti potrei contagiarla… ma si rende conto dottoressa a che punto siamo arrivati? Sono sconvolta!”

Il vissuto che emerge e accomuna queste vignette cliniche può essere espresso con un’unica parola: “perturbante”. È così che si sentono tante persone dopo questa pandemia, dopo che questo virus è entrato prepotentemente nelle nostre vite cambiando le nostre abitudini, la nostra quotidianità e le nostre relazioni.

Nel saggio Das Unheimliche, del 1919, Freud, descrive la parola “perturbante”, che in tedesco si dice Unheimlich (non familiare, straniero) ed è, infatti, la negazione dell’aggettivo heimlich, che vuol dire familiare, domestico, ma che significa anche nascosto, celato. “Da qui Freud ipotizza che ciò che un tempo era familiare (un significato di heimlich) e che poi con l’evoluzione della lingua, è stato nascosto/rimosso (l’altro significato di heimlich) qualora ritorni ad affiorare suscita l’effetto del perturbante (unheimlich)” (Nesci, 1991).

Ed ecco ciò che ci perturba, in questo periodo di pandemia: le nostre abitudini relazionali, un tempo familiari, sono state a lungo, in maniera forzata, “nascoste”, non potevano essere messe in pratica, ed oggi riaffiorano gradualmente per riprendere il loro spazio, ma in modo diverso, suscitando l’effetto perturbante.
Basti pensare alle nostre città durante il lockdown, quando ci dicevano di “restare a casa”, quelle città che fino a poco prima per noi erano “familiari” nella loro caoticità e invece, in quei giorni, erano così silenziosamente vuote, deserte, avvolte da un silenzio quasi assordante e pesante che le rendeva “straniere” ai nostri occhi. Ed oggi, anche il solo riprendere le nostre abitudini, quindi qualcosa di familiare, ma in un certo qual modo ormai cambiato (non ci si saluta più con un abbraccio o un bacio, non ci si presenta più con una stretta di mani, non vediamo più i sorrisi e le espressioni del viso perché nascosti dalle mascherine), quindi “abitudini straniere”, ci perturba.
Familiare e straniero allo stesso tempo è questo che perturba, che sconvolge e che spinge le persone ad assumere atteggiamenti bizzarri, addirittura “folli”, come diceva il mio paziente, che disorientano e non ci fanno star tranquilli con i nostri cari.
Ancor più lo spaesamento generato da questa pandemia è dato dal fallimento dell’illusione del progresso dell’uomo reso impotente da un virus invisibile, nascosto, un virus che ha fatto crollare il senso di invincibilità dell’uomo stesso.

Concludo facendo notare che questa esperienza unheimlich, di spaesamento, se viene vissuta da una prospettiva psicoanalitica, e cioè riconoscendo l’importanza di queste dinamiche inconsce, ci apre una porta alla ricerca di nuove modalità di cura, di nuovi setting, e quindi paradossalmente rende possibile continuare, ad esempio, il nostro lavoro psicoterapeutico, superando le nostre resistenze patologiche (De Masi, 2020) al cambiamento, al passaggio, ad esempio, dalla psicoterapia in presenza, faccia a faccia, alla psicoterapia online. Un passaggio che la Scuola in cui sono stata formata (la SIPSI) e la cooperativa DREAMS onlus in cui lavoro come psicoterapeuta, hanno invece facilitato e reso possibile consentendomi di rispondere adeguatamente ai nuovi bisogni causati dalla pandemia.


La familiarità con i malati di cancro ed i loro familiari, che per anni abbiamo seguito a distanza, ci ha consentito di conseguire un patrimonio di esperienza nella psicoterapia online durante la nostra formazione, prima, e poi nell’attività clinica di psicoterapeuti DREAMS. I nostri pazienti, infatti, spesso vivevano in regioni distanti e/o temevano, per i più diversi motivi, di tornare nell’ambiente ospedaliero per le sedute vis-a-vis. La pandemia così non ci ha colto impreparati: il passaggio alla psicoterapia online per noi è stato del tutto naturale: niente di perturbante.

Riferimenti Bibliografici​

American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disordes, Fourth Edition, Text Revision. Washington D.C. (tr. It.: DSM-IV-TR, Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Text Revision.Masson, Milano 2007.

Betti, I., De Masi, F. (2020). Coronavirus impone maxi-test mondiale sullo smart working. De Masi: “In Italia c’è una resistenza patologica”. Huffpost, 15 febbraio 2020. https://www.huffingtonpost.it/entry/coronavirus-impone-maxi-test-mondiale-sullo-smart-working-de-masi-in-italia-ce-una-resistenza-patologica_it_5e440ac7c5b61b84d3433541

Freud S. (1919), Il perturbante, in Freud S.: Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977.

Nesci D.A., La notte bianca, Armando Editore, Roma 1991.

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